Una triplice intervista ad alcuni protagonisti della mostra “Delta I”

Inaugurata il 22 aprile la mostra Deltaprimo, organizzata dall’associazione NdA nella Galleria Artepassante della Stazione Repubblica del Passante Ferroviario di Milano. Una rassegna d’arte e letteratura nata dalla collaborazione fra giovani artisti emergenti e la NdA. Abbiamo incontrato tre di loro.

Bianca Dall’Osto – Artista

Quali sono le tue opere e cosa vuoi comunicare?

Ho scelto di utilizzare una gamma di colori ridotta e i tre soggetti sono tendenzialmente non di bell’aspetto, quasi brutti, grotteschi, che si presentano però in abiti eleganti. Era da tempo che volevo fare questo progetto. Per offrire qualcosa di nuovo, senza riproporre sempre le stesse opere e gli stessi temi. La scelta di utilizzare esclusivamente il nero nasce dall’esigenza di dare, utilizzando sempre lo stesso colore, tratti e sensazioni differenti. E poi, detto sinceramente, non sono una grande amante del colore. Ho utilizzato una tecnica mista: penna, gessetti a olio, inchiostro, china, un po’ di tutto. Penso che meritino di essere guardate anche cose che non sono esteticamente belle. Esse vanno fatte vedere, perché ci sono.

Quali sono i supporti che hai utilizzato?

I supporti sono carta e cartoncino. Quelle più piccole, 50×70, sono su un cartoncino classico da disegno, mentre quella più grande è su un foglio di una nota ditta. Era lì a coprire una cornice e ho deciso di riutilizzarla, essendo una bellissima carta, non capivo perché dovesse andare sprecata.

 Qual è l’opera che ti riflette di più? Puoi scegliere anche quella di uno degli altri artisti.

Sembrerò banale, ma se dovessi scegliere le opere di qualcun altro sceglierei quelle di mio fratello Tommaso, che sono esposte esattamente sotto le mie. Non mi ci rispecchio, ma lui è stato il mio principale maestro. Mi ha spronato a migliorarmi e a trovare tecniche nuove. Posso dire che sia la mia musa ispiratrice. Quella che mi riflette di più tra le mie è La dama. Perché come opera più grande, è anche quella più dettagliata. Sono riuscita a unire tratti diversi ed è quella che mi ha divertito di più. Mi ritrovo anche nell’uomo con l’impermeabile, ma principalmente per l’espressione, alla quale ho dato una particolare intensità e, forse, dedicato anche maggior tempo.

Matteo De Toffoli – Scrittore

 Come sei entrato a far parte dell’associazione?

È stato un progetto che abbiamo sviluppato ormai un anno e mezzo fa. Ho parlato con alcuni ragazzi della Statale e un giorno, quello che oggi è il presidente, mi ha detto: “perché non mettiamo in atto questo progetto?”. Dopo questa conversazione ci siamo organizzati e l’associazione è nata ufficialmente il giorno della prima mostra, il 13 ottobre 2014.

Come nascono le tue opere? Quali sono i temi?

 Le opere che espongo oggi sono tre poesie. Le ho scritte due anni fa e le ho proposte perché mi è stato chiesto di proporre qualcosa che avevo già pronto. La prima, Ultimo giorno di un viandante dell’aria, è molto leopardiana, e parla degli ultimi minuti di vita di un airone. È piuttosto triste, ma penso mia sia riuscita bene. La seconda è una sorta di denuncia della situazione che si trova a vivere la nostra generazione, che si vede costretta in una società che non permette di esprimersi a pieno. L’altra ancora, Come formiche, ha uno spettro più ampio: parla della condizione dell’umano, di quanto si possa ritenere piccolo nei confronti del cosmo.

Qual è l’opera che ti rispecchia di più, tra le tue e tra quelle degli altri artisti?

Le mie poesie ovviamente, questo mi sembra palese. Apprezzo molto le opere di Cecilia Mentasti, perché rappresentano in maniera molto delicata i quadri di Friedrich, e le illustrazioni sui mostri di Alessio Croari, che hanno questa tecnica che riesce a mantenere il dettaglio e insieme lo sfumato. In generale, comunque, tutto funziona ed è tutto di buon livello.

Programmi per il nuovo laboratorio?

Il laboratorio non è stato ancora visto. Credo che ci manderemo gli artisti visivi a lavorare.

Voi scrittori avete dei progetti?

Abbiamo una mostra, che partirà a novembre, sui mondi immaginari, che si prefigge di illustrare, visivamente e non, ma è ancora tutto work in progress.

 L’esperienza in Artepassante è positiva o negativa?

Per ora risulta positiva. È la prima volta che collaboriamo. Sono stati molto gentili a darci lo spazio e molto collaborativi con Zorba, che ci ha fornito i materiali.

Francesco Forno – Artista

Come sei entrato a far parte dell’associazione?

L’associazione “Le belle arti” ci ha coinvolto nel progetto di Artepassante a più titoli. Noi avevamo già conoscenze con NdA, un’altra associazione di ragazzi e professori di Milano provenienti da vari licei artistici. Nel momento in cui ci siamo trovati a dirci più volte “ma perché non organizziamo una mostra? Perché non facciamo qualcosa?”, ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti: “è molto meglio fare le cose in grande, tirando dentro tutta la gente possibile, perché più messaggi hai, più è ricco il tuo prodotto e più chi fruisce del prodotto avrà stimoli, e soprattutto ci sarà più comunicazione”.  Tutto questo è aperto a tutti. Ci stiamo allargando per poter coinvolgere sempre più artisti di diversi background. Artepassante ci ha fornito un ottimo punto di partenza e, pur essendoci stato un po’ di caos dovuto al rodaggio, il risultato ha soddisfatto le aspettative degli artisti e il gusto del pubblico.

Quante opere ci sono all’interno della mostra e quante sono tue?

Per quanto riguarda gli scritti siamo intorno alla novantina di testi, tra prosa e poesia. Per quanto riguarda le opere saranno un centinaio, oltre a una piccola incognita di lavori che sono a metà tra il visivo e lo scritto. Io per primo, come artista, faccio molto richiamo di simbologie.

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere con le tue opere?

Non ho particolari messaggi. Ogni opera per me è a se stante ed è un discorso aperto. Non sono mai terminate, hanno una data d’inizio ma non una di fine. Probabilmente, conclusasi la mostra, mi sentirò libero di tornare a lavorarci.
L’obiettivo, più in generale, delle opere di tutto il gruppo è mostrare questo connubio tra personalità e stili.

Hai detto che sulle tue opere potresti rilavorare in un futuro, quindi c’è un percorso in evoluzione. Si può dire che Delta pigreco sia un modo per evolvere singolarmente e come collettività?

Sì. Diciamo che la metafora del Delta, intenso anche come delta del fiume, è proprio questa. Il delta si dirama, ognuno prende la sua strada e il suo progetto personale ha un valore anche all’interno del progetto di gruppo e viceversa, il progetto di gruppo diventa anche tuo.

 Ci sono degli artisti, tra quelli che espongono, che ti hanno influenzato?

Decisamente. Con alcuni di loro lavoro già da tempo e mi hanno influenzato moltissimo. Di recente ho incontrato molte persone che mi hanno portato ad aprirmi ad altri campi dell’arte.

C’è qualche opera nella quale ti rispecchi, tra le tue o tra quelle degli altri artisti?

In questo momento l’unica opera in cui mi rifletto parecchio è lo scritto di Delta pigreco. La presentazione di questa mostra è un lavoro a cui hanno collaborato molte menti. Abbiamo cercato di dosare con molta cura le parole e i contenuti che volevamo far passare. Quindi, per quanto risulti solo una presentazione della mostra, io la considero un’opera vera e propria perché dietro c’è stato un grande lavoro e la coalizione di tante menti e volontà in una sola. Ognuno ha fatto qualcosa per esprimere il tutto.


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